Page 9 - RelazioneADI
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itazioni funzionali delle persone anziane, che oggi coinvolge oltre 2,8 milioni di anziani, pari
al 21,3% della popolazione di ultrasessantacinquenni. Benché l’incremento della longevità non
sia automaticamente correlato alla perdita di autosufficienza – al contrario, i dati più recenti
mostrano tra gli anziani un incremento del numero di anni vissuti in assenza di limitazioni
funzionali –, le previsioni indicano che nel 2065 gli anziani non autosufficienti saranno circa
850 mila in più rispetto al 2017, in quanto il numero di cittadini che si trovano in stato di
disabilità fisica o intellettuale cronica e che necessitano di un’assistenza continuativa sta
aumentando, e continuerà a farlo, in modo significativo.
Allo stesso tempo, l’innestarsi delle attuali contingenze socio-economiche quali la precarietà
lavorativa, la presenza di tassi sempre più elevati di individui e famiglie in condizioni di povertà
e deprivazione economica e sociale, la diminuzione del numero dei caregiver famigliari, il loro
invecchiamento e l’insostenibilità del lavoro di cura informale – soprattutto qualora privo di
sostegni – rendono sempre più necessario focalizzare il dibattito pubblico e scientifico sulle
politiche sociali per la non autosufficienza, e in particolare sulle caratteristiche del sistema
dell’offerta di servizi pubblici e privati per l’assistenza continuativa agli anziani.
Nel nostro Paese quando si fa riferimento all’assistenza continuativa agli anziani, o long term
care, che oggi coinvolge direttamente e indirettamente almeno 10 milioni di italiani, si
intendono fondamentalmente tre tipi di servizi che hanno come obiettivo principale
soddisfare il bisogno assistenziale determinato dall’insorgere della non autosufficienza: gli
interventi domiciliari, quelli residenziali e le prestazioni monetarie (Falasca C., 2018).
L’assistenza fa riferimento a due settori distinti anche se, quantomeno nelle esperienze
migliori, tra loro strettamente integrati: quello sociale e sanitario. Entrambi i tipi di
trattamento vengono programmati e regolamentati dalle Regioni, mentre Aziende sanitarie e
Comuni ricoprono funzioni di erogazione e finanziamento, rispettivamente nell’ambito
sanitario e sociale.
I servizi domiciliari, di cui parleremo in modo più approfondito successivamente, si articolano
nel servizio di assistenza domiciliare (SAD), tendenzialmente continuativo nel tempo e a
ridotta valenza sanitaria, e nell’assistenza domiciliare integrata (ADI), oggetto del presente
approfondimento, che presenta invece una prevalenza di prestazioni sanitarie e/o
socioassistenziali coordinate in un programma personalizzato di assistenza.
Va poi considerato che, accanto a questi servizi, una larga fetta dell’assistenza domiciliare è
assicurata tramite rapporti privati, con carattere più o meno formale, che coinvolgono soggetti
collocati al di fuori del perimetro famigliare (badanti, assistenti famigliari, colf etc.)
nell’assistenza agli anziani o a persone non autosufficienti presso la propria abitazione. Negli
ultimi due decenni, a causa della crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro,
del mutamento dei ruoli nell’ambito famigliare, del basso tasso di istituzionalizzazione e della
scarsa diffusione di servizi domiciliari pubblici a livello nazionale, le famiglie italiane hanno
sempre maggiormente fatto ricorso a tale modalità di assistenza, pur caratterizzata da criticità
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al 21,3% della popolazione di ultrasessantacinquenni. Benché l’incremento della longevità non
sia automaticamente correlato alla perdita di autosufficienza – al contrario, i dati più recenti
mostrano tra gli anziani un incremento del numero di anni vissuti in assenza di limitazioni
funzionali –, le previsioni indicano che nel 2065 gli anziani non autosufficienti saranno circa
850 mila in più rispetto al 2017, in quanto il numero di cittadini che si trovano in stato di
disabilità fisica o intellettuale cronica e che necessitano di un’assistenza continuativa sta
aumentando, e continuerà a farlo, in modo significativo.
Allo stesso tempo, l’innestarsi delle attuali contingenze socio-economiche quali la precarietà
lavorativa, la presenza di tassi sempre più elevati di individui e famiglie in condizioni di povertà
e deprivazione economica e sociale, la diminuzione del numero dei caregiver famigliari, il loro
invecchiamento e l’insostenibilità del lavoro di cura informale – soprattutto qualora privo di
sostegni – rendono sempre più necessario focalizzare il dibattito pubblico e scientifico sulle
politiche sociali per la non autosufficienza, e in particolare sulle caratteristiche del sistema
dell’offerta di servizi pubblici e privati per l’assistenza continuativa agli anziani.
Nel nostro Paese quando si fa riferimento all’assistenza continuativa agli anziani, o long term
care, che oggi coinvolge direttamente e indirettamente almeno 10 milioni di italiani, si
intendono fondamentalmente tre tipi di servizi che hanno come obiettivo principale
soddisfare il bisogno assistenziale determinato dall’insorgere della non autosufficienza: gli
interventi domiciliari, quelli residenziali e le prestazioni monetarie (Falasca C., 2018).
L’assistenza fa riferimento a due settori distinti anche se, quantomeno nelle esperienze
migliori, tra loro strettamente integrati: quello sociale e sanitario. Entrambi i tipi di
trattamento vengono programmati e regolamentati dalle Regioni, mentre Aziende sanitarie e
Comuni ricoprono funzioni di erogazione e finanziamento, rispettivamente nell’ambito
sanitario e sociale.
I servizi domiciliari, di cui parleremo in modo più approfondito successivamente, si articolano
nel servizio di assistenza domiciliare (SAD), tendenzialmente continuativo nel tempo e a
ridotta valenza sanitaria, e nell’assistenza domiciliare integrata (ADI), oggetto del presente
approfondimento, che presenta invece una prevalenza di prestazioni sanitarie e/o
socioassistenziali coordinate in un programma personalizzato di assistenza.
Va poi considerato che, accanto a questi servizi, una larga fetta dell’assistenza domiciliare è
assicurata tramite rapporti privati, con carattere più o meno formale, che coinvolgono soggetti
collocati al di fuori del perimetro famigliare (badanti, assistenti famigliari, colf etc.)
nell’assistenza agli anziani o a persone non autosufficienti presso la propria abitazione. Negli
ultimi due decenni, a causa della crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro,
del mutamento dei ruoli nell’ambito famigliare, del basso tasso di istituzionalizzazione e della
scarsa diffusione di servizi domiciliari pubblici a livello nazionale, le famiglie italiane hanno
sempre maggiormente fatto ricorso a tale modalità di assistenza, pur caratterizzata da criticità
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