Page 35 - RelazioneADI
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uali future prospettive per i servizi di assistenza domiciliare
pubblica?
In letteratura spesso si riscontrano evidenze circa il fatto che il complesso degli interventi SAD
e ADI fatichi a rispondere efficacemente alla domanda di assistenza domiciliare degli anziani
e delle persone non autosufficienti presenti nei territori, dando risposta solo ad una quota
residuale di bisogni. Per invertire questa percezione sono necessarie strategie complessive e
consapevoli di rafforzamento della domiciliarità, intesa come un sistema a rete, fondato
sull’intreccio di politiche diverse e sulla responsabilità partecipe della comunità. La sfida
diventa quindi quella di integrare cure famigliari e/o informali e unità d’offerta sociosanitarie,
ampliando e coordinando gli interventi esistenti; si tratta di investire risorse su strategie
complessive che consentano per quanto possibile la permanenza a domicilio delle persone
che generalmente necessitano di un insieme di supporti sanitari e socioassistenziali.
Le strategie di servizio possono essere diverse. Vi sono casi in cui si fa leva sull’erogazione di
voucher o contributi economici finalizzati al mantenimento a domicilio, generalmente graduati
secondo il livello di necessità assistenziale dell’anziano e talvolta anche in base all’Isee. Vi è
poi un filone che si prefigge la possibilità di attuare rimodulazioni circoscritte o globali
riprogettazioni del servizio, al fine di rendere il SAD più rispondente ai bisogni, più inclusivo e
maggiormente aperto a nuove tipologie di utenza in modo da intercettare non solo le
necessità assistenziali di persone a basso reddito, ma anche la domanda pagante di una fascia
di popolazione maggiormente benestante. E ancora strategie che focalizzano l’attenzione su
una popolazione anziana che versa in una condizione “di mezzo” – che non è cioè più in grado
di vivere autonomamente ma non presenta ancora la necessità di un ricovero in RSA – e si
esplicita, da un lato, mediante la realizzazione di esperienze di abitare protetto, co-housing e
soluzioni intermedie tra domicilio e RSA e, dall’altro, in politiche più prettamente abitative
quali portinerie sociali, badanti di condominio, punti-risorse di caseggiato con funzione di
piccoli centri diurni, e così via. Infine, vi è un filone che punta invece ad offrire risposte in
un’ottica comunitaria ed inclusiva. Gli enti locali, supportati da soggetti del terzo settore e
fondazioni spesso di origine bancaria, sono chiamati ad individuare soluzioni di medio e lungo
periodo che possano contare sul sostegno della collettività, che siano efficaci ed innovative
sul versante sociale e che si basino sulla progettazione partecipata degli interventi, stimolando
l’emergere di imprenditorialità sociale e valorizzando eventuali micro-progettualità famigliari
già in essere.
I dati osservati possono documentare un tassello di queste strategie ed evidenziano come il
territorio dell’Area Vasta 5 abbia in questi anni lavorato al rafforzamento complessivo degli
interventi domiciliari, consolidandoli dove già presenti e dedicando gli sforzi maggiori a
implementarli nelle porzioni di territorio in cui avevano un’entità minore ed apparivano meno
strutturati. Se non si considerano le cure prestazionali, ma solo i percorsi ADI propriamente
detti, così da rendere i numeri dell’Area Vasta 5 confrontabili con i dati del Network Non
Autosufficienza del 2013 citati in precedenza, emerge come la quota di anziani inseriti in
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pubblica?
In letteratura spesso si riscontrano evidenze circa il fatto che il complesso degli interventi SAD
e ADI fatichi a rispondere efficacemente alla domanda di assistenza domiciliare degli anziani
e delle persone non autosufficienti presenti nei territori, dando risposta solo ad una quota
residuale di bisogni. Per invertire questa percezione sono necessarie strategie complessive e
consapevoli di rafforzamento della domiciliarità, intesa come un sistema a rete, fondato
sull’intreccio di politiche diverse e sulla responsabilità partecipe della comunità. La sfida
diventa quindi quella di integrare cure famigliari e/o informali e unità d’offerta sociosanitarie,
ampliando e coordinando gli interventi esistenti; si tratta di investire risorse su strategie
complessive che consentano per quanto possibile la permanenza a domicilio delle persone
che generalmente necessitano di un insieme di supporti sanitari e socioassistenziali.
Le strategie di servizio possono essere diverse. Vi sono casi in cui si fa leva sull’erogazione di
voucher o contributi economici finalizzati al mantenimento a domicilio, generalmente graduati
secondo il livello di necessità assistenziale dell’anziano e talvolta anche in base all’Isee. Vi è
poi un filone che si prefigge la possibilità di attuare rimodulazioni circoscritte o globali
riprogettazioni del servizio, al fine di rendere il SAD più rispondente ai bisogni, più inclusivo e
maggiormente aperto a nuove tipologie di utenza in modo da intercettare non solo le
necessità assistenziali di persone a basso reddito, ma anche la domanda pagante di una fascia
di popolazione maggiormente benestante. E ancora strategie che focalizzano l’attenzione su
una popolazione anziana che versa in una condizione “di mezzo” – che non è cioè più in grado
di vivere autonomamente ma non presenta ancora la necessità di un ricovero in RSA – e si
esplicita, da un lato, mediante la realizzazione di esperienze di abitare protetto, co-housing e
soluzioni intermedie tra domicilio e RSA e, dall’altro, in politiche più prettamente abitative
quali portinerie sociali, badanti di condominio, punti-risorse di caseggiato con funzione di
piccoli centri diurni, e così via. Infine, vi è un filone che punta invece ad offrire risposte in
un’ottica comunitaria ed inclusiva. Gli enti locali, supportati da soggetti del terzo settore e
fondazioni spesso di origine bancaria, sono chiamati ad individuare soluzioni di medio e lungo
periodo che possano contare sul sostegno della collettività, che siano efficaci ed innovative
sul versante sociale e che si basino sulla progettazione partecipata degli interventi, stimolando
l’emergere di imprenditorialità sociale e valorizzando eventuali micro-progettualità famigliari
già in essere.
I dati osservati possono documentare un tassello di queste strategie ed evidenziano come il
territorio dell’Area Vasta 5 abbia in questi anni lavorato al rafforzamento complessivo degli
interventi domiciliari, consolidandoli dove già presenti e dedicando gli sforzi maggiori a
implementarli nelle porzioni di territorio in cui avevano un’entità minore ed apparivano meno
strutturati. Se non si considerano le cure prestazionali, ma solo i percorsi ADI propriamente
detti, così da rendere i numeri dell’Area Vasta 5 confrontabili con i dati del Network Non
Autosufficienza del 2013 citati in precedenza, emerge come la quota di anziani inseriti in
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